In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».
Commento
Ai nostri giorni il digiuno è guardato con sospetto: si fa fatica a cogliere la rinuncia, soprattutto di una cosa così necessaria come il cibo. Non abbiamo dimestichezza con l’avere fame; forse possiamo riconoscere l'utilità nei recenti studi medici che affermano quanto sia importante digiunare per purificare l’organismo e rimettere in equilibrio la mente. In tutte le grandi religioni invece al digiuno era riconosciuto un grande valore: rinunciare a qualcosa di necessario come il cibo apriva alla fame di quell’essenziale di cui nessuno può far a meno: il desiderio di Dio. Tuttavia il digiuno poteva anche portare a un rischio: quello di mortificarsi nel rinunciare al cibo pensando così di guadagnare lo sguardo benevolo di Dio nei propri confronti. Gesù ci apre un orizzonte nuovo, andando oltre a una religiosità del sacrificio e della tristezza. Incontrare il Signore è gioia, è una festa di nozze nella quale si celebra l'amore tra Lui e ciascuno di noi. I discepoli non possono digiunare perché stanno sperimentando pienamente “qui e ora” la presenza viva dello Sposo, di Colui che li rende vivi. E i vivi mangiano. Verranno i giorni in cui la Gioia sarà loro tolta: allora sperimenteranno la morte. E non mangeranno più. Mi viene da chiedermi: la mia esperienza di fede è caratterizzata dalla tristezza o mi rende vivo nella gioia?
Oggi voglio digiunare da tutto ciò che mi rende triste, facendomi perdere la fame della gioia che nasce dal sentire che il Signore è presente.
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