In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: "Dove vai?". Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore.
Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi.
E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».
Commento
Di recente, nel confronto con amici e conoscenti, mi è capitato più volte di sentirmi dire frasi come “tornerò in Chiesa quando Gesù mi comparirà davanti”, o “perché Gesù non si mostra a noi con segni più chiari come in passato?”, o ancora “proprio non riesco ad avere una fede cieca in Dio, in Gesù, nei miracoli”. Frasi pronunciate non con rabbia o risentimento, ma con quella semplice schiettezza che sembra far emergere una domanda nascosta nel profondo del cuore dell’uomo e che spesso anche io rivolgo a Gesù: perché non sei rimasto tra noi anche dopo la resurrezione? Non sarebbe stato tutto più semplice? Nel Vangelo di oggi troviamo la risposta chiara e provocante di Gesù: “è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore.” È così dunque: Gesù non ci ha abbandonati, ma ha mandato il suo Spirito d’Amore per compiere una missione che un uomo in carne e ossa non avrebbe mai potuto compiere: portare a tutti gli uomini, di ogni tempo e di ogni luogo, la sua Parola e la sua Grazia, viva ed efficace. Dio si è abbassato facendosi uomo in Cristo, per poterci poi innalzare e rendere partecipi dell’eterno amore trinitario nello Spirito. Lo stesso Spirito capace di aprire i nostri occhi alla realtà del peccato, alla giustizia e alla verità; lo stesso Spirito capace di alimentare in noi la fede, la speranza e la carità.
Oggi prego lo Spirito, chiedendogli di alimentare in me la virtù teologale di cui ho più bisogno: fede, speranza o carità.
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