In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret]: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo, ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costrita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Commento
La cattolicità, diciamolo sinceramente, è la prospettiva che forse più ci urta nella nostra relazione con il Cristo. Spesso il nostro essere Chiesa, che per sua natura deve estendersi sotto un’arcata celeste che comprende tutto il mondo, si minimizza, rimpicciolendosi e riducendosi ad una deriva troppo localistica. Della serie: solo sotto il nostro cielo si parla meglio con Dio rispetto agli altri. Questa situazione è meno ridicola di quanto si possa pensare: se i nostri occhi non comprendono le ampie prospettive della Chiesa è perché il nostro cuore non vuole capire l’immensa capacità d’amore di Dio. Si tratta di una seria provocazione per tutti noi che vorremmo parlare sì d’amore ma con tutta una serie di ipoteche, condizioni e clausole, con la presunzione di voler ridimensionare la portata della missione della Chiesa che invece è chiamata a rispecchiare le larghe vedute del Maestro. Per fortuna Lui ci vede bene sia da vicino che da lontano. Non è vicino chi pretende di esserlo attribuendo patenti di cattolicità da una prospettiva soffocante nella sua chiusura. Non è lontano colui che come Naaman il Siro o la vedova di Zarepta si lascia alle spalle tutto il tratto periferico del suo cuore per portarlo verso il suo Centro. Un Centro che per sua natura decentra senza misura e senza confini.
Provo a pensare se la mia appartenenza alla Chiesa sia testimonianza di inclusione oppure, purtroppo, di esclusione. Mi impegno, a qualificare la mia appartenenza alla Comunità, evitando atteggiamenti divisivi, perché siamo tutti sotto un unico Cielo.
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