In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.
Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».
Commento
Ancora una volta, il Vangelo vede Gesù dispensare un insegnamento durante un pranzo. La tavola, simbolo dell’Eucarestia e del Regno di Dio come convito gioioso, luogo di convivialità, condivisione, dove ci si incontra, racconta e confronta. Gesù in casa del fariseo ci mette davanti la nostra fragilità, la nostra superficialità. In questa società malata, segnata da tante differenze e troppi muri, cadiamo puntualmente nell’errore di non saper guardare le cose importanti, di fermarci sempre in superficie, di non riuscire a trovare l’essenza delle cose. Trascendere la mediocrità dei giudizi, andando a scoprire la bellezza del profondo, che poi è anche il nostro cuore, è proprio ciò che Gesù vuole da noi. Il dualismo che sottolinea il Signore, tra parte esterna e quella interna, è chiarissimo: Dio non guarda la lucidità esteriore, non guarda se siamo seduti davanti agli altri; mangiamo pure con le mani sporche ma riconosciamo la povertà del nostro cuore; riconoscere la fragilità del cuore e porsi con animo ben disposto a Colui che ci ha creato è già un passo verso la purezza. Tutto questo è raggiungibile solo in quella eterna sfida che l’uomo gioca ogni giorno: la relazione con l’altro, lo sconosciuto, il bisognoso; è questo il confronto che bisogna vincere! L’uomo si definisce tale nella sua apertura al mondo, nel riconoscere il volto del Creatore nel volto del prossimo: “fai agli altri il bene che vorresti fosse fatto a te”.
Spirito di Dio, il mio cuore trabocca di povertà, aiutami a riconoscere questa fragilità che è dentro di me e a vedere negli altri una sorgente da cui attingere l’acqua che Tu mi chiedi.
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